Saper guardare il mondo attraverso gli occhi del bambino: quali sono i risvolti positivi di questo atteggiamento? Quali possono essere le nuove prospettive educative per i genitori e gli educatori che operano con questa modalità?
“Se vivessimo con l’intensità dei bambini, sentiremmo la densità della vita” (L. Fazio).
Chi mi ha conosciuto in ambito professionale un po’ di anni fa, sa che avevo sempre escluso la possibilità di lavorare nella prima infanzia. Negli ultimi anni una serie di circostanze personali e professionali mi hanno portato ad immergermi proprio in questo mondo, con la conseguente messa in gioco di diverse dimensioni della mia persona (mente, cuore e braccia) nell’educazione dei più piccoli. Grazie allo studio, all’esperienza quotidiana sul campo e a tanta riflessione su me stessa, ho compreso e iniziato a sperimentare una prospettiva nel guardare i bambini diversa da quella a cui ero abituata e, posso dire, conformata, pensando a come oggi l’opinione comune considera i più piccoli. Questo sguardo ha cambiato il mio modo di essere e di stare con loro, facendomi appassionare come non avrei mai pensato a questa età.
Questo scritto vuole essere un primo step di un appuntamento periodico che mi piace intitolare “So-stare con i bambini”. Anche quest’espressione è frutto della mia esperienza: come se avessi trovato “nuovi occhiali” che, nel tempo, mi hanno permesso sguardi più ampi e profondi sui bambini. Ho sperimentato nei fatti la bellezza di stare con loro, ho iniziato a vivere la relazione educativa come un’opportunità di crescita reciproca, che mi permette ogni giorno di nutrire la parte migliore di me. La parola “so-stare” è intesa in una duplice prospettiva: non solo il sapere fare le cose per e con loro, ma anche (e soprattutto in questa sede) il sapersi fermare a guardarli e lasciarsi guidare da ciò che ciascuno, nella sua unicità, può insegnarci dell’essere educatori/genitori.
Ho fatto questa immersione dentro di me non solo come professionista dell’infanzia ma anche come mamma, nonostante fossi già al terzo figlio (non è mai troppo tardi!). Con questi appuntamenti mi piacerebbe offrire ai genitori (e a coloro che si occupano a vario titolo della prima infanzia) uno spazio di pausa, riflessione e spero condivisione, che, tra le mille cose da fare, pannolini, pappe, “capricci”, lavoro, notti insonni e tanto altro, non è detto sia così semplice ricavarsi. Eppure se sapessimo quanto fa bene a noi e ai nostri figli… lo metteremmo in cima alla lista delle “cose da fare”.
Da dove cominciare? Ognuno potrebbe dire la sua qui perché ciascuno ha un’idea di suo figlio e del bambino in generale. La mia è: perchè non iniziare proprio dalle lenti che indossiamo quando guardiamo il nostro bambino? Diciamocelo chiaramente, altro che lenti, a volte ci si annebbia la vista davanti alla fatica di crescere un cucciolo d’uomo che ci stravolge gli equilibri già precari raggiunti singolarmente e come coppia! Per questo il fermarsi a riflettere su come stiamo e cosa stiamo vivendo è fondamentale. Inoltre siamo la prima generazione di adulti che, grazie alle scoperte neuroscientifiche, possono conoscere la vera natura dei bambini e sperimentare nuovi approcci relazionali, meno ingessati, più aperti e positivi, che costruiscono benessere nelle e tra le persone.
Allora, facciamo un bel respiro e proviamo a sintonizzarci, con la mente e con tutto il cuore, su una dimensione dell’infanzia che riguarda non solo i nostri figli ma ciascuno di noi, perché ciascuno è stato un bambino e lo è ancora; in particolare ognuno di noi, quando si relaziona da genitore, porta dentro e fuori di sé la parte del figlio che è stato.
Questo è uno spazio che vuole dare qualche stimolo perché ciascuno rifletta in base alla propria esperienza, inevitabilmente si potranno dare solo pennellate, a voi farci un personalissimo quadro che mi auguro possa arricchire la vita di tutti i giorni con vostro figlio.
Ecco a voi due riflessioni che, ad uno sguardo superficiale, potrebbe sembrare che vadano in due direzioni diametralmente opposte.
La prima ve la presento con questa immagine tratta dal tenero quanto ironico albo illustrato “Nino” di Isol, che aiuta gli adulti a scoprire la complessità, profondità e le competenze di un esserino venuto da chissà dove…
Mi soffermo sull’espressione del fratellino a sinistra nell’immagine che grida “Un ET!”. È proprio così, i bambini piccoli sono come extraterrestri approdati sulla terra, con una serie di competenze e di capacità che noi adulti non capiamo perché non sappiamo vederle o riconoscerle nella vita di tutti i giorni: tra queste nell’albo ritroviamo… “Nino vede e sente molto più di quanto sembra, e registra tutto nella sua memoria portatile” e “Nino è uno specchio”, a significare non solo che il bambino è capace di registrare le emozioni presenti nell’ambiente ma anche di rimandarle come uno specchio, in particolare a chi si prende cura di lui. Il bambino già dalla nascita è un microcosmo, con tante e varie competenze, ma esse sono così diverse e lontane da quelle di noi adulti, che rischiamo di trattarlo solo come un esserino bisognoso di cure materiali, perdendoci la ricchezza di ciò che la relazione con lui può darci. Poi ci sono le realtà della vita che nostro figlio ci insegna, basterebbe osservarlo per ammirare come: guarda con stupore le piccole cose, vive nel qui ed ora, si immerge totalmente nelle esperienze, non conosce la fretta ma vive un tempo lento, entra in relazione senza pregiudizio. A questo proposito vi racconto un’esperienza con mio figlio. Alessandro (5 anni) per alcune settimane ha raccolto durante le nostre passeggiate piccoli oggetti, per me insignificanti e alquanto discutibili; sembrava così preso e interessato che ho lasciato che facesse la sua raccolta, osservando con stupore l’accuratezza nella scelta dei piccoli gingilli. Dopo alcuni giorni chiede la colla e realizza con grande impegno e soddisfazione finale questa costruzione:
Come spesso facciamo noi adulti gli chiedo cosa rappresenta e lui senza indugio mi risponde: “è il mio progetto”. Se avessi guardato Ale dall’alto della mia visione adulta, gli avrei vietato di prendere da terra quelle cianfrusaglie, e avrei tolto a lui (e a me) un momento di creatività oltre gli schemi. Lasciarsi meravigliare dai bambini è un toccasana per noi adulti.
Guardare nostro figlio come una persona a suo modo competente può cambiare il nostro approccio con lui perché ce ne fa percepire il valore e ci mette in un atteggiamento di ascolto.
Se è vero che il bambino già nei primi anni di vita è competente, è anche vero che egli è chiaramente una persona biologicamente immatura. Ci viene subito da pensare alla sfera motoria, linguistica, alle autonomie, ma quanto spesso ci ricordiamo della sua immaturità emotiva? Lo imploriamo di “smettere di fare i capricci” quando, poverino, egli è ostaggio di emozioni che non sa (non può sapere alla sua età) regolare. Siamo noi genitori i primi canali che conducono il bambino ad uscire da una crisi di rabbia, a tollerare la tristezza, ad esprimere la gioia. Sostanzialmente gli adulti di riferimento, con il loro essere, pongono le basi per un equilibrato sviluppo emotivo del bambino nei primi anni di vita.
Ecco due facce della stessa medaglia… un bambino dalle tante potenzialità che ha bisogno di tempi e spazi propri per esprimersi al meglio e lo stesso bambino, estremamente bisognoso di essere accompagnato nella complessità della sua crescita emotiva da adulti che si pongano accanto a lui. Vedremo in seguito cosa significa questo accompagnamento.
Torniamo ai “nuovi occhiali” che vi propongo di indossare verso i bambini. Prendo in prestito le parole della dott.ssa MacNamara[1], consulente genitoriale americana, che sostiene come per diventare il meglio per nostro figlio dovremmo conoscere la sua natura dall’interno. “Non servono abilità ma discernimento. È più una questione di ciò che vediamo quando guardiamo nostro figlio, anziché di ciò che facciamo. (…) I piccoli rappresentano l’immaturità allo stato puro e gettano una luce sugli inizi ancora incompleti da cui tutti siamo partiti per crescere. Per quanto si guardi con orrore ai loro modi immaturi, potremmo scegliere di farci colmare di stupore e meraviglia al cospetto del continuo rinnovarsi della vita umana”.
Questa scelta si può fare in ogni momento che viviamo con il nostro piccolo. Cambiare gli occhiali non è certo semplice ma possibile, un passo alla volta, e porta grandi benefici.
[1] MacNamara D. (2018). Capire i piccoli. Torino: Il leone verde.