I bambini sono come fiori da trattare con cura e rispetto: solo tenendo a mente i loro bisogni si può accompagnare la loro fioritura
I bambini sono come boccioli. Se vado lì con le pinzette per aprire i petali, li distruggo. Devo dare calore, nutrimento, l’acqua di cui hanno bisogno, e si apriranno da soli (G. Cremaschi Trovesi )
Questa citazione di Giulia Cremaschi Trovesi ultimamente mi ha interrogata su quale è stato il mio atteggiamento nei confronti dei bisogni dei miei figli, in particolare in questo periodo di permanenza a casa, che ha amplificato la loro dimensione e la mia percezione di essi. Avrei voluto che affrontassero la DAD con serenità, dormissero bene senza far tardi la sera, avessero tempi di sano relax (senza schermi elettronici), passassero del tempo tra loro e con noi genitori. Tutti assunti legittimi e giusti dal punto di vista del genitore. Mi sono adoperata perché ciò avvenisse, escogitando e proponendo idee, creando situazioni per loro e con loro, ho costruito un substrato che rispondeva ai miei bisogni di mamma. I tanti genitori che sono stati a casa come me in questo anno potranno comprendere la fatica che ha accompagnato i miei sforzi. Parallelamente a questo “impegno” costante, grazie alla riflessione personale e condivisa con mio marito, ho compreso quanto ci fosse bisogno di ascoltare profondamente e silenziosamente il mondo personale di ciascuno dei miei bambini, partecipare alla loro vita, nelle piccolezze che ogni giorno poteva offrire. Non forzare verso la direzione educativa che io pensavo giusta ma iniziare a guardare e accogliere i loro bisogni. Quali? Fermarmi a lungo a condividere i racconti delle videolezioni, a volte intrisi di emozioni spiacevoli; sostare con uno di loro nella noia di “non aver niente di bello da fare”; far tardi la sera con loro comprendendo la fatica di non voler concludere quella giornata, lasciarli trovare vie di uscita alle loro litigate, accompagnarli nel tempo che passano allo schermo, stargli accanto quando fanno capolino le crisi di rabbia o di sconforto, dare vicinanza, parole di accoglienza e poi …attendere.
Sto imparando a far cadere le mie certezze (anche pedagogiche) per accogliere ciascuno di loro per quello che in quel momento mio figlio è e sente, essere quella presenza che permette al figlio di esprimere se stesso. Il calore e il nutrimento che sto provando a dare loro in questo momento storico è il rispecchiamento delle emozioni che provano, legittimare anche quelle più spiacevoli e dolorose, perché possiamo imparare insieme a integrarle nella nostra vita. E l’acqua mi sembra sia aver sempre e nuovamente fiducia in loro e muoversi nelle regole quotidiane (poche, chiare e condivise), che danno forma alle giornate e sicurezza ai figli.
Si tratta di avere un progetto educativo che non parta da assunti da realizzare ma da bisogni da ascoltare con rispetto e delicatezza perché ciascun figlio sbocci con i suoi tempi, modi e con la bellezza che gli è propria, anche in tempo di pandemia (e mi verrebbe da dire, anche, in parte, grazie ad esso).
Un modo attento, sensibile e competente per interpretare positivamente la vita dei genitori durante la pandemia